Io sono un bluff... o no?
- M. L. Barbazza
- 25 feb
- Tempo di lettura: 1 min

"Sono qui per sbaglio": si chiama sindrome dell'impostore e chi ne soffre si sente sempre inadeguato, professionalmente e affettivamente.
Chi si sente un "impostore" è convinto di dover indossare una maschera ogni volta che entra in contatto con il mondo esterno, costretto a "reggere" un ruolo per cui non si è mai preparato abbastanza.
Questa sindrome è stata scoperta da due psicologhe americane, Clance e Imes, nel 1978, studiando un gruppo di donne in carriera e l'hanno definita "percezione interiore di falsità intellettuale". In realtà oggi ha più senso parlare di "esperienza dell'impostore", perché i cambiamenti socioculturali hanno contribuito notevolmente ad alzare l'asticella della prestazione, della spinta a valorizzarsi e a farsi riconoscere, ad essere vincenti, ad avere successo...
Studi successivi infatti, hanno dimostrato che ne soffrono anche gli uomini e gran parte della popolazione in generale.
Anche quando siamo davvero competenti ci si sente inadeguati a "presunte" aspettative altrui. E se veniamo riconosciuti, il vissuto è comunque di essere un bluff, che prima o poi verrà smascherato.
I vissuti possono essere quindi di poco valore, di vergogna, di indegnità e di un forte timore del giudizio altrui.
Come uscirne?
Ricordandoci i risultati raggiunti, confrontandoci sempre con quello che noi eravamo e non, costantemente, con un ideale di noi perfetto, immaginifico. Ma soprattutto, guardando con tenerezza e comprensione le fragilità che vediamo negli altri e quelle che riconosciamo in noi.
C'è una parola in lingua malese, "kegemteraan", che significa "allegria nell'inciampare", come fanno i bambini, che cadono e si rialzano ridendo, poiché è così che si impara a camminare.
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